Chi non ricorda il famigerato Millenium Bug? Verso la fine degli anni 90 il timore di un blocco dei sistemi informatici dovuto al cambiamento di millennio nell’indicazione della data spinse aziende ed enti in tutto il mondo ad attivarsi per scongiurare un default tecnologico. Il passaggio al nuovo millennio è avvenuto senza problemi e nessuna delle catastrofi annunciate si è, per fortuna, concretizzata.
La crescente diffusione della tecnologia nelle nostre vite sta però facendo sorgere alcuni punti di domanda sulla nostra sicurezza futura e su alcune potenziali conseguenze negative.
Un aspetto che sembra essere trascurato dalla maggior parte delle aziende può essere riassunto con un’unica parola: obsolescenza. Secondo un recente sondaggio condotto tra 567 dirigenti d’azienda in 20 diversi settori diversi, un terzo degli intervistati teme la perdita di competitività a causa del cosiddetto Darwinismo Digitale. Peggio ancora la pensa un terzo dei responsabili nel settore dell’IT che prevedono una imminente e definitiva uscita di scena delle loro aziende.
Il sempre maggior uso del cloud computing spinge molti esperti del settore a porre una crescente attenzione sul tema della sicurezza. Grossi passi in avanti sono stati fatti su questo fronte ma è pur vero che i dati centralizzati sono sicuri solo se a gestire il firewall è un programmatore IT professionista. Molte aziende pensano sia più sicuro tenere i propri dati al sicuro nella propria azienda ma questo spesso, non potendo disporre di personale preparato a gestire server e firewall in maniera adeguata, paradossalmente li rende meno sicuri e più vulnerabili ad attacchi informatici.
in base ad un recente rapporto della Camera di Commercio di Londra, le aziende che subiscono un’importante perdita di dati hanno il 90% di probabilità di dover chiudere i battenti entro due anni, ed uno dei fattori che maggiormente incide sui bilanci delle aziende (e sulla loro reputazione) è proprio il furto di dati.
Un altro aspetto che preoccupa è la crescente mole di dati che scaturisce dall’inarrestabile ascesa dell’Internet of Things. Miliardi di dispositivi che inviano o che stanno per essere progettati e programmati per inviare dati il cui uso e la cui utilità non sono stati ancora ben definiti. Ricevere una mail dalla nostra bilancia elettronica che riporta il nostro peso non penso rientri nelle priorità giornaliere di tutti. Il rischio di essere bombardati da dati inutili legato al difficoltà di controllare chi ed in che modo li utilizzerà è un dibattito che rimane aperto ed ancora privo di una soluzione ben definita.
L’automazione è considerata anch’essa una risorsa da gestire con attenzione. Di recente sono stati condotti dei test su automobili in grado di condurre i passeggeri nel luogo di destinazione senza l’ausilio di un guidatore; i test hanno avuto un esito positivo ma il dover lasciare la propria vite nelle “mani” di un pilota automatico lascia perplessi i più.
Un’altra preoccupazione dell’automazione è vecchia quanto la rivoluzione industriale ed è legata alla perdita di posti di lavoro per il passaggio a macchine intelligenti di mansioni una volta delegate a persone in carne ed ossa. In quest’ultimo caso, però, la storia ci insegna che tale fenomeno è limitato e che i costi sono di gran lunga inferiori ai benefici.